6.4 Organizzazione politica
L'impero persiano fu il più vasto e ordinato organismo politico che l'antichità avesse fino allora conosciuto.
Con un equo sistema di imposte e una politica di tolleranza che ricorda quella altrettanto sagace degli Ittiti, loro consanguinei, i Persiani tennero insieme genti diverse disseminate su un immenso territorio. Purché i popoli soggetti pagassero i tributi e fornissero milizie allo smisurato esercito persiano, furono autorizzati a conservare i costumi, la lingua, la religione e talvolta, come nel caso degli Ebrei, perfino le leggi e i magistrati propri.
Amministrativamente l'impero era diviso in province o satrapìe, rette da governatori detti sàtrapi, sorvegliati dal Gran re per mezzo di ispettori viaggianti, detti "occhi e orecchie del re".
Il Gran re persiano disponeva di una corte sfarzosa e di due capitali: una per l'inverno, Susa, e l'altra per l'estate, Ecbatana; esercitava una autorità assoluta, ma si asteneva per solito dagli atti crudeli comuni ad altri monarchi orientali. Dario I, ad esempio, così tracciava i suoi criteri di governo:
"Per volere di Ahura Mazda [suprema divinità persiana] io sono di tal indole che sono amico del giusto e non sono amico del malvagio. Non è mio desiderio che il debole abbia a subir torto dal potente, né che il potente abbia a subir torto dal debole. Ciò che è giusto, questo è il mio desiderio. Io non sono amico dell'uomo che è signore della menzogna. Io non sono iroso: ciò che mi viene dalla collera io freno saldamente [...] L'uomo che collabora, in rapporto alla sua collaborazione, io lo compenso. Quello che fa danno, in rapporto al danno, io lo punisco [...] Quello che fa un uomo secondo le sue forze, questo mi soddisfa e il mio piacere è grande e io ne sono molto soddisfatto [...]"
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