35.7 Il foro nella vita di Roma antica
Il Foro era il centro del centro [di Roma], il richiamo sino al mezzogiorno della maggior parte della popolazione. E, quanto a vita, presentava un aspetto molto diverso la mattina e il pomeriggio. La vita del Foro culminava nell'ora quinta [le undici circa]; ma si protraeva sino alla sesta e alla settima. Dalla levata del sole all'ora decima era vietato il passaggio dei veicoli; vi circolavano solo pedoni o portatori di lettighe, ma la folla era enorme.
In quelle ore gran parte di Roma si rimescolava là; negli uffici si trattavano gli affari di Stato, in certe altre località, nella Basilica, presso la statua di Marsia, convenivano gli uomini della grande finanza e combinavano le loro oblique imprese piene di accortezza e di imbrogli. In quei pressi vi erano i cambiavalute: attendevano gli avventori, e intanto facevano ballare e tinnire i grossi mucchi delle loro monete, perché tutti sentissero che loro erano lì, pronti a far qualsiasi operazione. Dal tratto fra il tempio di Castore e il tempio di Vesta [dove era il tribunale del pretore], si udiva sin da lontano venire il clamore della folla e il vocìo degli avvocati che arrochivano nel difendere i loro clienti. Di quando in quando urla e male parole di contendenti che si accapigliavano, preludio di lite giudiziaria. [...]
Con l'ingrandirsi dell'Impero la folla del Foro divenne in certe ore sempre più fitta e più varia. La vita mattutina del Foro concentrava il movimento e riassumeva tutti gli aspetti di Roma: i più disparati e i più contrastanti.
Roma in quella gran calca mostrava le sue facce innumerevoli. Ogni ceto, ogni nazionalità, ogni interesse, ogni ambizione vi aveva i suoi rappresentanti. Bastava un colpo d'occhio nel Foro, per comprendere quanto grande e varia fosse la popolazione di Roma, tra i magistrati e gli autorevoli cittadini in toga, tra i clienti dei signori, anch'essi in toga, nella calca che si pigiava intorno al tribunale del pretore, si notavano anche uomini del popolo in tunica, e schiavi con la testa rasa, e Orientali, di lingua greca, che si ficcavano un po' dappertutto.
Quegli Orientali davano fastidio a molti: era gente astuta, pettegola, faccendiera; e riusciva a rendersi indispensabile; nessuno li vedeva di buon occhio, nessuno ne poteva far a meno. Nelle ore in cui l'affollamento del Foro era maggiore, quegli Orientali te li trovavi sempre tra i piedi [...]
Nella folla, ogni tanto, passava un piccolo presuntuoso corteo; i grandi signori, distesi in lettiga, portati da schiavi orientali o germani o dalmati di forte corporatura e sfarzosamente vestiti, traversavano così il Foro, seguiti da un codazzo di clienti in toga. Molti ostentavano in modo odioso la superiorità del ricco: prendevano pose negligenti; sporgevano il braccio per mettere in mostra i loro anelli; tenevano con sé animali rari e costosi, un cinocefalo per esempio; qualcuno leggeva o scriveva o dormiva. La folla si apriva e la pompa passava oltre. O era un solenne padre che per la prima volta, come voleva l'uso, conduceva ufficialmente nel Foro il figlio che quel giorno aveva vestito la toga.
C'era in quelle ore gente che pensava alle grandi cose che aveva da fare, e oziosi col naso in aria; uomini seri e uomini chiacchieroni.
Non sempre, le lettighe che trasportavano le matrone avevano le cortine [...] abbassate, come richiedeva il loro decoro e la severità dei costumi.
Ma come si fa a impedire a chi è giovane e bella [o crede di essere] di curiosare un po' e di mettersi in mostra?
Si aggirava, poi, nel Foro, un po' dappertutto molta gente equivoca: molto di quel ciarpame parassitario che nelle grandi città vive alle costole dei ricchi "suonatori di flauto, ciarlatani, accattoni, mime, parassiti dalla lingua sciolta".
Verso le due [ora ottava] l'attività degli uffici era cessata. Allora, da tutte le parti si riversava nel Foro una folla di oziosi, e stava lì delle ore a gironzolare tra tanti bei monumenti, per goderseli e per passare il tempo. Il Foro non si riconosceva più; prendeva un tono quasi provinciale; ma c'era qualcuno a cui piaceva proprio in quel modo. Orazio, per esempio, al quale nelle ore antimeridiane tutto quell'affaccendarsi del Foro dava tremendamente ai nervi, sulla sera vi faceva volentieri la sua passeggiatina, fermandosi un po' qua un po' là, curioso di sentire le fattucchiere che dicevano la ventura ai gonzi. Nulla lo disponeva meglio a mangiar con appetito.
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