20.8 Altre conquiste dei plebei
Un altro passo innanzi di notevole importanza verso la parificazione delle classi si compì con l'approvazione della legge Canuleia (445 a. C.), proposta dal tribuno Cedo Canuleio, con la quale vennero permessi i matrimoni tra patrizi e plebei.
Nel 367 a. C. poi, il tribuno Licinio Stolone fece votare una legge con la quale si stabiliva che, nella distribuzione delle terre conquistate, nessun cittadino potesse ottenere una porzione superiore ai 500 iugeri. Prima di allora le terre tolte ai nemici erano state amministrate dal Senato e costituivano il cosiddetto agro pubblico; però era sempre accaduto che i patrizi riuscissero a farsene assegnare dei lotti vistosi, escludendo dalla distribuzione i plebei. La legge Licinia tendeva quindi a una più equa ripartizione delle terre per impedire che l'intera ricchezza agraria si concentrasse nelle mani di pochi. Sempre in quell'anno vennero approvate altre due leggi importanti: la prima riduceva il peso dei debiti contratti dai plebei, la seconda esaudiva una loro grande aspirazione, che cioè uno dei consoli potesse essere eletto nella classe plebea.
Dopo simile conquista non era più possibile pretendere che fossero riservate ai soli patrizi le altre cariche pubbliche: avvenne quindi che nel giro di qualche decennio, prima che terminasse il IV secolo a. C., tutti i cittadini romani, tanto patrizi quanto plebei, poterono accedere alle magistrature di qualunque ordine. Ormai la repubblica romana non era più un organismo politico nel quale i patrizi dominavano e i plebei erano servi; essa si era trasformata in un forte Stato democratico, in cui tutti i cittadini, qualunque fosse la loro condizione sociale, godevano di uguali diritti.
Un po' più tardi, agli inizi del II secolo a. C., lo storico greco Polibio così esaltava i meriti della costituzione romana e la sua equilibrata divisione dei poteri:
"I consoli, quando non sono alla testa degli eserciti risiedono a Roma e sovrintendono a tutti gli affari pubblici [...]. Sono essi che introducono gli ambasciatori nel Senato, che provocano le deliberazioni nei casi urgenti, e che promulgano i senatus consulta [i pareri emessi dal Senato]. Alla stessa guisa sono tenuti a occuparsi di tutti gli affari pubblici che devono essere regolati dal popolo, a convocare i comizi, a presentare i progetti di legge, ad applicare le decisioni della maggioranza. In quanto concerne la preparazione della guerra e la condotta delle operazioni essi esercitano poteri quasi assoluti. Sta a loro di fissare il contingente che devono fornire gli alleati, di fare le leve, di scegliere gli uomini atti al servizio; per di più hanno il diritto, in campagna, di punire chi vogliono, e di prelevare dai fondi dello Stato le somme che ritengono necessarie: un questore li accompagna ed esegue immediatamente tutti i loro ordini.
Il Senato ha come primaria funzione l'amministrazione del tesoro pubblico, poiché tutte le entrate e tutte le spese sono ugualmente di sua competenza; i questori non hanno diritto di farne uscire la più piccola somma senza un decreto del Senato, salvo per i consoli. È il Senato che autorizza i censori a fare le spese più considerevoli di tutte, quelle che i censori compiono ogni cinque anni per rifare e costruire dei monumenti pubblici [...]. Se un privato, o una città d'Italia, ha una controversia da regolare, merita un castigo, ha bisogno di soccorsi o di protezione, è sempre il Senato che deve provvedere. Lo stesso fuori d'Italia se si deve inviare un'ambasciata [...]. Lo stesso quando arrivano a Roma ambasciate: è il Senato che esamina come conviene riceverle e rispondere.
Una parte tuttavia è stata lasciata al popolo e questa parte è addirittura la più importante, poiché è solo il popolo, nello Stato, che può dispensare gli onori o infliggere un castigo [...]. Il popolo [...] giudica i reati passibili delle ammende più gravi, soprattutto se l'accusato ha occupato delle alte magistrature. Non c'è che il popolo che possa pronunciare condanne a morte [...], esso è padrone di adottare o di rigettare le leggi, di deliberare sulla guerra e sulla pace. È il popolo che sanziona, ratifica o respinge le alleanze, le convenzioni, i trattati."
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