19.9 Doti dei magistrati romani
I magistrati romani, di qualunque grado essi fossero, si sentivano legati con una devozione quasi religiosa al servizio della repubblica, cioè dello Stato concepito come un organismo formato da tutti i cittadini e diretto al servizio di tutti. Per il cittadino romano e in particolar modo per colui che copriva una magistratura, l'individuo, la famiglia, la stirpe perdevano ogni importanza di fronte agli interessi della repubblica, e solo l'attività dedita al servizio di essa veniva considerata occupazione degna.
Il magistrato romano era sempre pronto a sacrificare vita, famiglia, orgoglio e ambizioni agli interessi dello Stato; le grandi figure di Cincinnato, Camillo, Fabrizio, che incontreremo fra breve, sono tutte incarnazioni dello spirito di dedizione alla cosa pubblica che costituì la dote preminente dei cittadini romani nei primi tempi della repubblica.
Della loro semplicità e dignità di costumi offre un significativo esempio questo racconto di Plutarco, che si riferisce a un console del II sec. a. C., Manio Curio Dentato, vincitore dei Sanniti, dei Lucani, dei Sabini e di Pirro:
"La casa di campagna di Catone era vicina a quella un tempo abitata da Manio Curio. Catone vi si recava spesso e, quando poneva mente alla piccola estensione di quella proprietà e alla semplicità di quella casa, non poteva fare a meno di considerare tra sé qual uomo doveva essere stato quel Curio, che, vincitore di nazioni bellicosissime, dopo aver cacciato Pirro dall'Italia, ed essere diventato il più grande Romano [dei suoi tempi], coltivava con le sue mani quella piccola porzione di suolo e non disdegnava di abitare in una dimora tanto povera, lui che aveva ricevuto l'onore di tre trionfi [in realtà furono quattro]. Era stato in quella casa che gli ambasciatori dei Sanniti lo avevano trovato, seduto presso il focolare, intento a far cuocere delle rape [sotto la cenere] e che [per ingraziarselo] gli avevano offerto una quantità d'oro considerevole. Nel rifiutare l'offerta, egli aveva detto loro che un uomo il quale si accontentava di un pasto tanto sobrio non aveva bisogno di oro e che [per quanto lo concerneva] trovava più bello di vincere coloro che possedevano l'oro, che di possederlo lui stesso."
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