20.4 Secessione della plebe sul Monte Sacro
Nel 494 a. C., proprio in un momento difficile della guerra contro i Volsci, il malcontento popolare si trasformò in rivolta aperta. I plebei, secondo quanto narra la leggenda, si rifiutarono di impugnare le armi e, lasciando soli i patrizi a difendere Roma, si accamparono sul Monte Sacro a tre miglia dalla città. Il Senato allora, di fronte a una secessione tanto grave, si mostrò disposto a fare concessioni e incaricò delle trattative uno dei suoi membri più accetti al popolo, Menenio Agrippa. Costui, recatosi sul Monte Sacro, raccontò alla plebe un apologo che nella sua semplicità vale il contenuto dei più acuti trattati di politica. "Un giorno" egli disse "le braccia, stanche di lavorare per saziare il pigro stomaco, si rifiutarono di fornirgli il cibo e rimasero oziose; ben presto però si accorsero che, digiunando lo stomaco, tutto l'organismo si indeboliva e le stesse braccia finivano per perdere le forze." L'apologo fece comprendere alla plebe (le braccia) che le sue possibilità di vita erano legate al benessere del patriziato (lo stomaco) e che entrambe le classi erano necessarie alla prosperità dello Stato (l'intero corpo). Per rendere più persuasivo il suo apologo Menenio Agrippa aggiunse le solenni promesse del Senato: cancellazione dei debiti e istituzione di una nuova magistratura, i tribuni della plebe, col compito di difendere i diritti della plebe.
In tal modo l'accordo venne raggiunto e i plebei rientrarono in città.
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