10.2 Governo degli eupatrìdi
Nei tempi più remoti anche Atene era stata governata da re, di cui Codro fu l'ultimo. Al regime monarchico, avvolto in gran parte nella leggenda, succedette un ordinamento aristocratico diretto dai grandi proprietari di terre, i nobili o eupatrìdi: tra essi venivano eletti annualmente i nove arconti, ossia i capi del governo, che usciti di carica diventavano giudici di una specie di tribunale supremo, detto areopago. In tal modo i nobili erano gli arbitri dello Stato e potevano commettere ogni abuso a danno delle altre classi sociali, tanto più che mancava il freno di una legge scritta. Simile situazione non poteva protrarsi a lungo per il fatto che in Atene, accanto agli eupatrìdi e in concorrenza con essi, diventavano sempre più numerosi i cittadini influenti per la ricchezza e per le cognizioni acquistate nei viaggi commerciali.
Nel 621 a. C. i nobili furono perciò costretti, su proposta dell'arconte Dracone, a concedere leggi scritte, ma non rinunciarono ai loro maggiori privilegi; le leggi di Dracone riuscirono così dure che l'aggettivo draconiano è diventato sinonimo di "severissimo". Scrive Plutarco:
"La morte era la pena prescritta per quasi tutti i rei, in modo che eran fatti morire perfino coloro che fossero còlti in ozio; e quelli che avevano rubato frutta o erbaggi erano puniti con lo stesso supplizio stabilito per gli omicidi e i sacrileghi. Per questo motivo ebbe molta fortuna il detto di Dèmade [oratore ateniese], il quale asserì che Dracone non aveva scritto le sue leggi con l'inchiostro, ma col sangue.
Egli stesso del resto interrogato una volta, a quanto si dice, perché alla maggior parte dei delitti avesse stabilito la pena di morte, rispose che riteneva i piccoli meritevoli di tal pena, ma che non ne sapeva trovare una maggiore per i grandi."
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