29.2 Sconfitta di Pompeo
Sorpreso dalla marcia di Cesare sulla capitale, Pompeo non ebbe altra alternativa che abbandonare in tutta fretta l'Italia. Passato il mare, egli organizzò le sue forze in territorio greco, ma l'anno dopo queste furono raggiunte da Cesare, sconfitte e disperse a Farsalo, nella Tessaglia (48 a. C.).
Pompeo, scampato alla strage, fuggì in Egitto presso il re Tolomeo, dove credeva di trovare protezione e rifugio; ma costui, per ingraziarsi il vincitore, lo fece uccidere.
Nel poema di Lucano, la Farsalia, Catone Uticense, fiero conservatore, anticesariano, alla notizia della morte di Pompeo, così ne tesse l'elogio in sottintesa contrapposizione ai demeriti ch'egli attribuiva a Cesare; (bisogna peraltro tenere presente che in realtà Pompeo, come generale e come uomo politico, fu di gran lunga inferiore a Cesare; non solo mancò di quell'acume e di quell'opportunismo politico che sempre avevano distinto il suo avversario, ma nei momenti cruciali gli vennero meno anche la risolutezza e la chiarezza di idee):
"È scomparso un grande cittadino, il quale, benché sia stato lontano dal rispetto della legge proprio dei nostri antenati, fu tuttavia di utile esempio in questo secolo in cui la giustizia più non esiste. Potente, senza aver attentato alla libertà, quando la plebe era pronta ad asservirsi a lui, restò un semplice privato; capo del Senato, ma di un Senato sovrano, nulla si arrogò per diritto di guerra e ciò che voleva gli fosse dato, volle che ugualmente potesse essergli rifiutato. Possedette immense ricchezze, ma ne versò al tesoro pubblico una quantità maggiore di quella che tenne per sé; ricorse al ferro ma sapeva anche deporlo; preferì le armi alla toga, ma sotto le armi amò la pace; capo, si compiacque di prendere il potere, ma si compiacque pure di lasciarlo. [...]"
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