29.3 Trionfo di Cesare su tutti i fronti
Cesare trasse pretesto dall'ignobile assassinio di Pompeo per togliere il trono al giovane Tolomeo e trasferirlo sotto la protezione romana alla sorella, l'affascinante Cleopatra; indi con una fulminea campagna si rivolse contro Farnace, figlio di Mitridate comunicando la vittoria al senato col laconico messaggio "Veni, vidi, vici" (Venni, vidi, vinsi). Poi, dopo un breve ritorno a Roma, si recò nell'Africa settentrionale, dove a Tapso vinse un nucleo di pompeiani; tra essi militava il nipote di Catone il Censore, Catone Uticense, che non esitò a darsi la morte per non cadere nelle mani dell'avversario. Infine a Munda, nell'odierna Andalusia, schiacciò e disperse le ultime forze che i suoi avversari erano riusciti a riunire, comandate dai figli di Pompeo. La seconda guerra civile era così terminata e Cesare ebbe tutti ai suoi piedi: il popolo, che salutava in lui il suo campione vittorioso e che sperava di poter acquistare una condizione migliore; gli aristocratici, che, battuti e sconfitti, speravano solo nella sua clemenza; il Senato che si rassegnava al corso degli eventi.
Dopo la vittoria di Farsalo era stata conferita a Cesare la dittatura per dieci anni; dopo Munda egli ottenne la dittatura a vita, il diritto di essere chiamato in perpetuo imperator (che era il titolo dato ai generali vittoriosi) e numerosi altri privilegi che facevano di lui di fatto, se non di nome, il re di Roma. Tanto potere, nelle intenzioni di Cesare, doveva preludere alla trasformazione della repubblica in impero, ossia in uno Stato monarchico, nel quale un solo uomo avrebbe riunito nelle sue mani tutti i molteplici incarichi che venivano esercitati in nome del popolo romano dalle ormai logore magistrature repubblicane.
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