20.5 I tribuni della plebe
Il tribunato della plebe è d'importanza capitale nella storia del popolo romano; esso trasse origine da una lex sacrata, da una legge cioè che impegnava religiosamente l'onore di tutti i magistrati romani e che nessuno poteva violare senza macchiarsi di sacrilegio. I tribuni della plebe (di numero non ben stabilito in origine, e portati a dieci più tardi) si consideravano i protettori legali della plebe.
Quando un magistrato pronunciava in un tribunale di qualunque ordine una sentenza contro un plebeo, uno dei tribuni (i tribuni erano sempre plebei), aveva il diritto di presentarsi al tribunale e di dire con voce solenne: "veto", cioè "io mi oppongo". Il magistrato era costretto a riformare la sua sentenza se non voleva, una volta uscito di carica, essere processato per avere violato una lex sacrata. In seguito il potere dei tribuni andò ampliandosi ancor di più; essi infatti riuscirono ad essere ammessi persino alle sedute del Senato, nelle quali potevano pronunciare il loro veto anche contro leggi di carattere generale. È facile comprendere come una simile autorità dovesse risultare molto sgradita ai patrizi, i quali la subivano come una grave limitazione alla loro influenza. Questa avversione spiega i ripetuti tentativi fatti da alcuni patrizi per ottenere l'abolizione dei tribuni. Di questi tentativi la storia ricorda più comunemente quello di Coriolano, perché presenta particolari profondamente drammatici e umani.
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