34.3 Gli schiavi
Nella famiglia romana rientravano anche gli schiavi: in origine furono pochi, ma il loro numero crebbe a dismisura con l'estendersi delle conquiste, perché presso i Romani, come presso la maggior parte dei popoli antichi, i prigionieri di guerra divenivano schiavi.
Gli schiavi, trattati spesso in modo disumano, erano assoluta proprietà del padrone, che poteva disporre a suo talento della loro vita.
Col passare del tempo la sorte degli schiavi di famiglie cittadine (che formavano la cosiddetta familia urbana) divenne più tollerabile, mentre quella degli schiavi (familia rustica) adibiti ai lavori campestri si mantenne sempre dura. Essi erano mal nutriti, spesso incatenati e lavoravano indefessamente e la notte dormivano stipati negli ergastoli, vere e proprie prigioni, squallide e male aerate.
Tra gli schiavi della familia urbana, specialmente quando cominciarono a figurare tra essi anche persone colte catturate in Oriente o in Grecia, i padroni scelsero spesso i loro segretari od amministratori e i maestri dei loro figli.
In tal modo si stabilirono spesso tra il padrone e lo schiavo rapporti di stima e di affetto: e frequenti divennero i casi di schiavi cui il padrone restituiva la libertà in considerazione della lunga fedeltà e di particolari servigi resi.
Essi si chiamavano liberti e diventavano "clienti", dovevano dipendere cioè, in molte circostanze, dal loro antico padrone; solo ai figli dei figli del liberto erano riconosciuti i pieni diritti del cittadino. Con l'andare del tempo gli schiavi affrancati divennero sempre più numerosi e, poiché essi erano venuti da ogni parte dell'impero, contribuirono a cambiare l'originario aspetto della plebe e a fare di Roma una città cosmopolita.
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