13.3 I Trenta Tiranni
La radiosa capitale dell'Attica dovette rinunciare al suo impero marittimo, consegnare la flotta, accettare un governo aristocratico imposto da Sparta ed accogliere una guarnigione spartana. Il nuovo regime però, detto dei Trenta Tiranni, non resse a lungo. Nel 403 a. C. gli Ateniesi, sotto la guida del generoso Trasibulo, scacciarono i Trenta Tiranni e ristabilirono un governo di democratici. Il nuovo governo, benché di tendenze moderate, fu tuttavia incapace di impedire le vendette politiche: esili, confische, condanne a morte. Vittima innocente ne fu il filosofo Socrate, il rappresentante più insigne delle virtù morali dei Greci. Condannato ingiustamente nel 399 a. C. a bere la cicuta, morì serenamente, dopo aver rifiutato la fuga, per non offendere le leggi della sua patria.
In questa suggestiva pagina di Platone, il giovane Fedone, che con altri fedeli discepoli ha assistito alla morte di Socrate, ne descrive ad Echècrate gli ultimi momenti:
[Critone] ritornò [...] conducendo l'incaricato di somministrare il veleno. Lo portava in una tazza tritato. Socrate vide quell'uomo e disse: "Va bene, ottimo uomo; tu sei esperto di ciò. Cosa conviene fare?"
"Null'altro" rispose, "se non bere e poi camminare un po' finché le gambe ti si facciano pesanti: allora devi metterti disteso; e così il veleno farà la sua azione."
E, dicendo questo, porse la tazza a Socrate.
E lui la prese, e sereno veramente, o Echècrate, senza un tremito, senza alterar menomamente né il colore né l'aspetto del volto, con quei suoi grandi occhi fissi e sporgenti guardò un poco, com'era solito, di sotto in su verso l'alto. Poi disse: "Che ti pare di questa bevanda? Si può farne libazione a qualcuno"
E l'altro: "Ne tritiamo quel tanto, o Socrate, che, a nostro giudizio, è misura sufficiente".
"Ho capito. Ma è concesso, ed è cosa bella, innalzar preghiera agli dei, perché questo cambio di residenza avvenga felicemente. E questa è la mia preghiera, e così sia".
Appena detto questo, bevette tranquillo e sereno fino all'ultima goccia, tutto d'un fiato. E molti fra noi, fino a quel momento, a fatica erano stati capaci di trattenere il pianto; ma poi la commozione ci vinse, quando vedemmo ch'egli beveva e che l'operazione era compiuta. A me poi, più forti di me, le lagrime rigavano abbondanti il volto, tanto che mi avvolsi nel mantello e piansi amaramente per me; oh! non piangevo per lui; piangevo la mia sorte, pensando di quale amico sarei rimasto privo ormai. Critone, intanto, ancor prima di me, incapace di dominarsi, s'era alzato per uscire; Apollodoro invece, che già prima non aveva cessato di dar segni di commozione, scoppiò in grida e in lamenti dolorosi; a tutti, meno che a Socrate, quel pianto straziava il cuore. E lui: "Ma che cosa mi state facendo, strani uomini che siete! E pensare che ho allontanato le donne; non avrei voluto eccessi di questo genere. Vi è un precetto a me noto: dice che bisogna finir la vita con parole di lieto augurio. Insomma state tranquilli e siate forti"
A queste parole, provammo un senso di vergogna, e tutti cercarono di trattenere il pianto.
Egli fece qualche giro per la stanza; poi disse che le gambe gli diventavano pesanti. Si pose allora sul letto supino. Era appunto il consiglio che gli era stato dato. Intanto l'uomo che gli aveva portato il veleno lo andava toccando nei piedi e nelle gambe. Ciò faceva di tratto in tratto. A un certo momento l'uomo gli premette fortemente il piede e poi gli chiese se sentiva. E Socrate rispose di no. E dopo gli toccò la parte inferiore della gamba. E venendo in su così, ci mostrava che le membra si raffreddavano e via via si facevano rigide.
Poi tornò a toccarlo un'altra volta e disse: "Quando gli giunge al cuore allora è finito". E già la parte inferiore del ventre veniva ormai raffredandosi, quando si scoperse il volto che era già stato coperto e disse ancora queste parole [le ultime da lui pronunciate]: "Critone dobbiamo un gallo ad Asclepio" [il dio della medicina e della salute; Socrate voleva fosse fatta un'offerta a questo dio in segno di riconoscenza, perché la morte lo guariva della malattia della vita terrena rendendolo partecipe dell'eterno bene]; dateglielo e cercate di non dimenticarvene". Disse Critone: "Lo faremo certo; ma bada forse hai qualche cosa da dire ancora". A queste parole non rispose! L'uomo lo scoperse: lo sguardo era vitreo. Critone vide e gli chiuse le labbra e gli occhi.
Questa, o Echècrate, la fine dell'amico nostro; un uomo lo possiamo dir noi, il migliore fra quanti in questi anni abbiamo potuto conoscere [...].
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