40.8 Le condizioni dei Romani sotto i Longobardi
Ci si può chiedere quale fosse la condizione dei Romani sotto i Longobardi, quali fossero cioè i rapporti tra i due popoli. Evidentemente bisogna tener presente alcune premesse.
Molti Romani, tra i più ricchi e i più potenti, avevano ormai lasciato l'Italia per portarsi a Bisanzio dove era la corte imperiale e dove quindi vi era possibilità di una carriera in quella burocrazia che rappresentava la forza dello Stato. Altri erano rimasti ancora in Italia, ma erano persone che, in raffronto alla vecchia classe dominante, si potevano definire di classe media; erano logicamente rimasti qui i servi, soprattutto i servi legati alla terra in base alle leggi del basso impero; per costoro l'invasione longobarda significava i dolori che arrecano con sé tutti gli eserciti, i saccheggi, le rapine, ma non significava di certo né un problema politico né culturale. [...]
Naturalmente la prima ondata, l'invasione vera e propria, non si poneva problemi di rapporti con le popolazioni esistenti, se non per quelle penose relazioni che possono esistere tra vincitori e vinti, tra dominatori e dominati. Allora Gregorio di Tours poteva scrivere:
"Entrati in quella regione, vagandovi per anni, avendo spogliato le chiese e uccisi i sacerdoti, la ridussero in loro potere", e non crediamo davvero che le violenze si limitassero alle chiese e ai sacerdoti, anche se i Longobardi, ariani, non vedevano probabilmente di buon occhio i sacerdoti cattolici; era del resto un'antipatia ricambiata, come dimostra la fuga da Milano a Genova, ancora bizantina, dell'arcivescovo ambrosiano col suo clero.
Non crediamo però, come ritenne l'età romantica, che i Romani fossero stati ridotti in schiavitù; è più facile che fosse stata loro concessa una personalità ed una capacità giuridica, almeno nel campo del diritto privato, mentre certamente per molto tempo non ebbero capacità politica come ci conferma la prima legge longobarda, l'Editto di Rotari. [...]
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