8.9 Presagi e oracoli
I Greci inoltre credevano nei presagi e negli oracoli. I presagi erano fatti naturali, come il fulmine, il tuono, l'arcobaleno, l'apparizione di uccelli e così via, che, secondo le circostanze, prendevano vari significati. Interpretavano i presagi sacerdoti appositi, detti indovini.
Gli oracoli erano invece messaggi o risposte (responsi) che gli dei davano agli uomini per bocca di sacerdoti dotati di speciali poteri di divinazione. A volte gli oracoli erano espressi in modo oscuro e richiedevano di essere interpretati anch'essi dagli indovini.
Con il nome di oracolo si indicava anche la località sacra e il santuario dove si dava il responso. Tra i più famosi erano l'oracolo di Dodona (nell'Epiro) e quello di Delfi, dove Apollo dettava a una sacerdotessa (Pizia) oscuri responsi.
I Greci non intraprendevano nessun atto importante della vita, sia pubblica sia privata, senza aver consultato gli oracoli: perciò si può dire che i loro santuari, mete di pellegrinaggi affollatissimi, contribuirono in modo prevalente a mantenerli spiritualmente uniti.
A taluni oracoli tributarono venerazione anche stranieri (o barbari come dicevano i Greci), sensibili all'influenza ellenica:
"Gige — scrive Erodoto — divenuto re [di Lidia], mandò a Delfi doni votivi; non pochi, anzi, di quanti doni votivi ci sono a Delfi, i più sono suoi, e oltre all'argento consacrò oggetti d'oro in grandissima copia [quantità] e fra gli altri — e questo è particolarmente degno di nota — furono da lui dedicati crateri d'oro in numero di sei [...]
Questo Gige dunque, primo dei barbari di cui abbiamo conoscenza, dedicò a Delfi doni votivi dopo Mida, figlio di Gordio, re di Frigia. Anche Mida infatti offrì il trono reale sul quale sedeva per amministrare la giustizia, oggetto mirabile; e questo trono si trova dove sono i crateri di Gige.
Quest'oro e l'argento offerti da Gige sono chiamati, dai Delfi, Gigadi, dal nome del dedicante."
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