36.7 Lo Stato romano e i Cristiani: le persecuzioni
Nei primi anni della nuova era il governo imperiale si mostrò tollerante verso le chiese cristiane, considerate come sette particolari di quelle comunità ebraiche che pullulavano nelle principali località dell'impero. Ma quando il Cristianesimo cominciò a fare dei proseliti anche tra i componenti dei ceti più elevati, i princìpi della nuova fede furono giudicati contrari alle leggi dello Stato e dannosi alla società. La legge romana, infatti, permetteva che divinità straniere venissero onorate in Roma accanto a quelle nazionali, ma alla condizione che i loro culti rispettassero quelli già riconosciuti.
I Cristiani invece non accettavano il politeismo che stava alla base della tolleranza romana, poiché essi credevano in un solo Dio, unico e vero; perciò il trionfo della loro fede comportava la distruzione dell'antico ordine religioso e di parte delle leggi dello Stato, che con le credenze pagane erano strettamente connesse: come potevano infatti i Cristiani genuflettersi davanti all'immagine dell'imperatore e riconoscerlo come dio, oppure partecipare al culto ufficiale di Roma? Inoltre i Cristiani erano contrari alla schiavitù, mentre lo Stato la ammetteva ufficialmente; predicavano la fratellanza universale, mentre l'impero si fondava sul diritto della forza.
Per tutti questi contrasti i seguaci della nuova fede apparivano ai Romani come cittadini poco amanti della patria e pericolosi per l'ordine sociale.
Tuttavia la prima persecuzione non fu suggerita da ragioni politiche: essa ebbe luogo perché Nerone, affinché non si scoprisse il suo atto insano, accusò i Cristiani di aver incendiato Roma (64 d. C.). Il piano delittuoso dell'imperatore fu favorito dalla generale ostilità dei Romani verso i Cristiani: questi, infatti, tendevano a vivere appartati dalla società e tenevano segrete le loro cerimonie, perché non fossero profanate dai pagani; tutto ciò incoraggiava le più infami dicerie sulle loro pratiche religiose.
Scomparso Nerone, altri imperatori ripresero a perseguitare i Cristiani; anche i migliori imperatori, come Traiano e gli Antonini, considerarono le persecuzioni come un dovere penoso ma necessario per la salvezza dell'impero.
Il periodo più terribile di queste persecuzioni fu il regno di Diocleziano, celebrato come l'era dei martiri; la parola deriva dal greco e significa "testimoni", poiché i Cristiani "testimoniavano" con la loro morte la verità della fede che professavano.
Di quest'epoca eroica del Cristianesimo ci parlano ancor oggi le catacombe scavate sotto il suolo di Roma. Le catacombe erano dei cimiteri: furono utilizzate come luoghi di rifugio soltanto in casi eccezionali, perché le autorità imperiali generalmente sapevano dove si trovavano. In questi luoghi sotterranei si celebravano cerimonie religiose e si pregava sulle tombe dei martiri. Le pareti delle catacombe sono decorate talvolta con disegni o dipinti che offrono i saggi più spontanei della primitiva arte cristiana.
Tuttavia, nonostante lo spargimento di tanto sangue, il progresso del Cristianesimo non si arrestò; anzi, la serena fermezza con cui i martiri sopportarono le torture e la morte destò in molti l'ammirazione, scosse gli indifferenti, fece nuovi fedeli e spinse talvolta alla conversione gli stessi carnefici.
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