24.4 La terza guerra punica
Dopo la sconfitta, Cartagine si accinse subito a riassestare le finanze e a ridare impulso ai commerci.
Ciò favorì il trionfo del partito che propugnava la distruzione completa della rivale, alla testa del quale stava l'austero senatore Marco Porcio Catone; tutte le volte che questo intransigente conservatore parlava in Senato non mancava mai di concludere i suoi discorsi con la frase: "Ceterum censeo Carthaginem esse delendam!" (penso, inoltre, che Cartagine debba essere distrutta!).
Il pretesto per la ripresa delle ostilità - la terza guerra punica - venne offerto dalle scorrerie che l'ambizioso Massinissa, re di Numidia, faceva di tanto in tanto nelle terre cartaginesi confinanti con il suo regno.
I Cartaginesi, per quanto si fossero impegnati a non impugnare le armi senza il permesso di Roma, finirono col reagire alle provocazioni: e poiché Massinissa era alleato dei Romani (ai quali aveva prestato il valido aiuto della sua cavalleria nella battaglia di Zama), questi colsero l'occasione per vibrare alla città nemica il colpo mortale invocato dal partito di Catone.
Un esercito fu spedito in Africa (149 a. C.): Cartagine, pur di evitare un conflitto da cui sapeva che sarebbe uscita distrutta, si rassegnò a consegnare le armi e la flotta in cambio della promessa che la sua indipendenza sarebbe stata rispettata. Ma quando i Cartaginesi furono disarmati, i Romani ingiunsero loro di abbandonare la città e di ritirarsi nell'interno del paese, ossia di rinunciare a quei traffici marittimi e commerciali da cui traevano ogni risorsa di vita. L'imposizione era inaccettabile e Cartagine si accinse a una resistenza disperata, che per tre anni immobilizzò l'esercito romano in un logorante assedio.
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