26.3 Le riforme dei Gracchi
I primi uomini politici che si fecero innanzi a proporre leggi dirette a questo scopo furono i Gracchi: Tiberio e Caio. Essi appartenevano a una famiglia aristocratica e avevano ricevuto dai genitori un'educazione improntata alle più solide tradizioni romane; specialmente dalla madre Cornelia, figlia di Scipione Africano, avevano appreso ad amare la virtù e a disprezzare il lusso e le frivole ambizioni di cui troppo spesso si appagavano i componenti del loro ceto sociale.
Il maggiore dei Gracchi, Tiberio, eletto tribuno della plebe, riuscì nel 133 a. C. a far votare una legge agraria che obbligava i grandi latifondisti a rinunciare a una parte di quelle terre di cui si erano più o meno illecitamente impossessati; essi non avrebbero potuto possedere più di 500 iugeri di terreno, o al massimo 750 o 1000, se avevano uno o più figli. Le terre tolte dalle loro proprietà dovevano essere suddivise in piccoli appezzamenti, da assegnarsi a quei proletari che si impegnavano a coltivarli direttamente. In tal modo si pensava di ingrossare l'assottigliata schiera dei proprietari campagnoli, di migliorarne le condizioni di vita e di sollevare dalla miseria un buon numero di poveri della città.
Le considerazioni di opportunità che spinsero Tiberio Gracco a intraprendere la sua campagna politica in favore del popolo sono così esposte con efficacia da Plutarco:
"Caio Gracco scrisse in un suo libro che la sollecitazione a intraprendere quell'azione politica che fu per lui e suo fratello il principio di mali infiniti, venne a Tiberio mentre si recava a Numanzia attraverso l'Etruria, alla vista dei campi deserti e degli agricoltori e pastori barbari, fatti venire da altre regioni. Ma per altro fu principalmente il popolo stesso ad accendere in lui tale desiderio e tale ambizione incitandolo, per mezzo di manifesti attaccati a logge, a muri o a monumenti, a far ricuperare ai poveri i beni di dominio pubblico. Tuttavia non fece la legge soltanto di sua testa, ma si consigliò con cittadini e virtuosi, quali Crasso, pontefice massimo, Muzio Scevola, giureconsulto e allora console, ed Appio Claudio, suocero dello stesso Tiberio; pare che mai contro tanta ingiustizia e sopraffazione sia stata fatta una legge più mite e moderata. Ma i ricchi e i facoltosi, che avversavano la legge per avarizia ed osteggiavano con sdegno e cocciutaggine il legislatore, si sforzavano di sobillare il popolo affermando che Tiberio sollevava quella questione in odio alla repubblica e per sovvertire ogni cosa. Ma Tiberio si opponeva ad essi, intorno a un argomento così nobile e giusto e con tanta forza di eloquenza che il partito avversario non trovava nulla da opporre a simili argomentazioni. Stando sull'arringo, attorniato da gran concorso di popolo e parlando in favore dei poveri, egli diceva che anche le fiere, disseminate per l'Italia, hanno tane e covili per ricoverarsi, ma che quelli che combattevano e sfidavano la morte per la difesa della medesima Italia, null'altro avevano che l'aria e la luce e che, privi di abitazioni e di luoghi dove abitare, erano costretti a vagare qua e là con i figli e le mogli; e che, così stando le cose, i comandanti mentivano quando nelle battaglie esortavano i soldati a respingere i nemici e a difendere i sepolcri e le are dei loro numi; nessuno di quei Romani infatti aveva sepolcri di antenati o ara paterna, ma tutti guerreggiavano e morivano solo per procurar agi e ricchezza ad altri; e mentre venivano chiamati signori di tutta la terra non avevano di proprio nemmeno un pezzo di gleba.
Non c'era alcuno dei suoi avversari in grado di opporsi a tali discorsi che, pronunciati con animosità e passione, facevano presa sul popolo disponendolo all'entusiasmo e alla rivolta."
Per intralciare l'applicazione della legge agraria gli aristocratici e i latifondisti ricorsero agli espedienti più arrischiati: accusarono Tiberio Gracco di voler aspirare alla dittatura e infine si sbarazzarono di lui facendolo assassinare durante un tumulto provocato di proposito. La legge agraria venne per il momento sospesa; ma dieci anni dopo (123 a. C.) essa fu di nuovo reclamata da Caio, il minore dei Gracchi, eletto a sua volta tribuno della plebe. Per favorire i cittadini più poveri, Caio Gracco fece votare delle distribuzioni mensili di frumento a prezzo inferiore al costo e propose che nelle terre pubbliche dei domìni dello Stato venissero fondate colonie di plebei. Infine presentò il progetto di estendere a tutti gli Italici la cittadinanza romana. Il Senato avversò le proposte di Caio Gracco; ma anche la plebe non ne fu entusiasta: ormai troppo indebolita e corrotta, essa preferiva l'ozio e la miseria a una dignitosa vita rurale acquistata a prezzo del lavoro. I nobili e i ricchi riuscirono così a padroneggiare la situazione e a fomentare tumulti popolari. Durante uno di questi tumulti Caio, per non cadere vivo nelle mani dei suoi nemici, si fece uccidere da un servo (121 a. C.).
Dopo la sua morte la legge agraria venne annullata.
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