39.7 Virile energia di Teodora
Teodora vestiva abiti magnifici, gioielli abbaglianti e la sua tavola fu sempre preparata con gusto squisito. Da vera arricchita adorava e moltiplicava intorno a sé tutte le complicazioni del cerimoniale. Aveva della sua vita teatrale conservato la passione della messa in scena ed era felice di vedere curvi umilmente ai suoi piedi tanti grandi e potenti signori che in altri tempi l'avevano trattata con molto meno riguardo. Davanti a Giustiniano e davanti a Teodora le persone del più alto rango dovettero prosternarsi fino a terra, sfiorando il suolo con le labbra, e baciare le regali calzature purpuree. Prima di essere ricevuti dovevano fare lunghe anticamere, che Teodora si divertiva a prolungare particolarmente. [...]
Ma essa si mostrò degna del suo ruolo. Durante una violenta rivolta, partita dal circo e presto dilagata in tutta la città, il trono di Giustiniano fu sul punto di crollare. [...]
Era l'11 gennaio 532, una domenica, e secondo il solito all'ippodromo si svolgevano delle corse alla presenza dell'imperatore. La folla era agitata: i giorni precedenti in piena città parecchie persone erano state assassinate e gli appartenenti al partito dei Verdi si lamentavano della parzialità di un ufficiale di palazzo. Per questo dalle gradinate che essi occupavano si alzavano incessanti clamori e furiose grida, tanto che alla fine Giustiniano, spazientito, ordinò all'araldo in piedi accanto a lui di domandar loro con chi l'avessero. I Verdi dapprima osarono appena designare il loro persecutore ma ben presto si scaldarono e presero violentemente a lagnarsi di essere esclusi dal governo. A loro volta gli Azzurri entrarono in scena per dare addosso al partito nemico con alte grida. Allora in massa i Verdi abbandonarono l'ippodromo. Era la più sanguinosa ingiuria che si potesse fare alla maestà dell'imperatore. La reazione fu eccessiva. Il prefetto di polizia arrestò a casaccio un certo numero di dimostranti: quattro furono decapitati, tre impiccati. Uno di loro era Azzurro. Questo bastò per unire i due partiti contro il governo. Giustiniano credette allora opportuno tentare un atto di forza e scatenò contro gli insorti i soldati barbari della guardia, al comando di Belisario. Disgraziatamente durante la battaglia questi rozzi mercenari malmenarono i preti di Santa Sofia, che, reggendo le sante reliquie, erano usciti dalla basilica per tentare di separare i combattenti. La religiosa popolazione di Bisanzio perse il controllo alla vista di questo sacrilegio. [...]
Per tre intere giornate il fuoco, alimentato da un vento fortissimo, dilagò per tutta la città. Più di un quarto della capitale fu ridotto in cenere. Fu tenuto un consiglio nel quale l'imperatore, incerto sul da farsi, riunì i suoi ultimi fedeli. Teodora, che era rimasta impassibile durante tutta la tragica giornata, assisté al consiglio. Improvvisamente, nel silenzio generale, si alzò e, indignata per la loro viltà, richiamò al dovere l'imperatore e i ministri che cedevano. "Se non restasse altra salvezza che la fuga" dichiarò "io non fuggirei. Coloro che hanno portato la corona non devono sopravviverle. Non vedrò mai sorgere il giorno in cui non mi si chiamerà più col nome di imperatrice. Se tu, o re, vuoi fuggire, fallo pure: hai il denaro, la nave è pronta, il mare è libero. Io resto! Approvo quella vecchia massima che dice che il manto imperiale è un bel lenzuolo funebre."
A queste coraggiose parole Giustiniano e i suoi consiglieri si rianimarono. In mezzo alle rovine fumanti venne ripresa l'offensiva. Fino a sera si massacrò senza pietà. Al calar della notte, quando la strage ebbe termine, più di trentamila cadaveri secondo alcuni, quasi cinquantamila secondo altri testimoni, lastricavano l'arena insanguinata dell'ippodromo. L'insurrezione era domata principalmente grazie a Teodora.
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