13.2 La guerra del Peloponneso
La prima fase della guerra, dal 431 al 421 a. C., si svolse senza risultati decisivi: gli Spartani vinsero sulla terraferma e giunsero perfino a porre l'assedio ad Atene; gli Ateniesi, a loro volta, conservarono la supremazia marittima. Ma nel 430 questi ultimi furono colpiti da un'orribile sciagura: una nave proveniente dall'Egitto, ancoratasi al Pireo, diffuse nell'Attica una micidiale epidemia di peste, che ridusse a un terzo gli abitanti di Atene.
Dell'immane flagello lo storico Tucidide ci ha lasciato questa descrizione precisa ed agghiacciante:
"I medici erano impotenti di fronte a questa malattia, a loro sconosciuta, che si trovavano a curare per la prima volta. Ed erano i più numerosi a morire, quanto più venivano a contatto con i malati.
Esternamente il corpo di coloro ch'erano colpiti dalla peste non era molto caldo al tatto, né pallido ma era piuttosto rosso, livido e ricoperto di minute pustole e di ulceri; ma internamente ardeva tanto che gl'infermi non potevano sopportare né vesti né coperte anche sottilissime, ma amavano stare nudi e volentieri si sarebbero buttati nell'acqua fredda; ciò che avvenne a molti non custoditi da alcuno, i quali si gettarono in cisterne, spinti da una sete inestinguibile; ma il bere poco o molto era ugual cosa. L'insonnia inoltre li travagliava incessantemente.
Morivano poi indistintamente, sia che fossero curati sia che fossero lasciati in abbandono, perché nessun rimedio si trovò che fosse efficace e il rimedio che giovava all'uno nuoceva all'altro. Non si comprendeva bene se più valesse per resistere alla peste la complessione vigorosa o quella debole: tutte venivano abbattute anche se curate con ogni arte.
Aggravava la condizione degli Ateniesi l'essersi la gente del contado riversata in città [per le devastazioni degli Spartani nell'Attica], perché, mancando le case ed essendo nel fervor dell'estate, perivano confusamente in tuguri soffocanti, e i cadaveri si ammucchiavano gli uni sugli altri [...]."
Fu necessario concludere una tregua; la cosiddetta pace di Nicia, che, sarebbe dovuta durare cinquant'anni.
Di fatto però, contrariamente a quanto era stato stabilito, le ostilità si riaccesero subito perché la pace di Nicia era stata il frutto di una momentanea stanchezza e non il risultato di una sincera volontà di riconciliazione.
L'iniziativa, questa volta, provenne dagli Ateniesi.
Nel frattempo ad Atene, dopo la scomparsa di Pericle, la direzione del partito democratico era caduta sotto l'influenza di Alcibiade, parente di Pericle, giovane brillante, ma di temperamento imprudente e avventuroso. Costui, spinto dall'ambizione e valendosi dell'eloquenza che gli attirava la simpatia popolare, persuase gli Ateniesi a una impresa temeraria, destinata a concludersi tragicamente: quella, cioè, di attaccare la fiorente città siciliana di Siracusa, alleata di Sparta. Così nel 415 a. C. una flotta ateniese di cento triremi, carica di soldati, salpò alla volta della grande isola mediterranea; ma ne aveva appena toccato il lido, che Alcibiade, richiamato in patria sotto accusa di aver mutilato le statue del dio Ermes, per sottrarsi al processo, passò dalla parte nemica, rifugiandosi a Sparta. Intanto, posto l'assedio a Siracusa, le milizie ateniesi venivano gravemente sconfitte dagli assediati, cui erano giunti rinforzi da Sparta: i superstiti dell'infausta spedizione, catturati dai Siracusani, furono chiusi nelle orride prigioni delle "latomìe", dove morirono di fame e di stenti; gli stessi strateghi, fatti prigionieri, furono uccisi. Dopo il disastro della spedizione di Sicilia, molte città abbandonarono l'alleanza di Atene, che si trovò sola a fronteggiare la vittoriosa Sparta. Nel 404 a. C., dopo una sconfitta presso il fiume Egospotami, Atene fu cinta d'assedio e successivamente costretta alla resa.
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