29. Cesare trionfa sui rivali, ma viene assassinato alle idi di marzo
29.1 Guerra civile tra Cesare e Pompeo
Mentre durava la conquista delle Gallie, Crasso era morto e Pompeo, rimasto a Roma, aveva accolto con apprensione e invidia le notizie dei successi di Cesare; perciò si era riavvicinato al Senato e aveva persuaso l'alto consesso a richiamare il fortunato proconsole e a negargli il rinnovo del comando (49 a. C.). In forza di tale rifiuto Cesare avrebbe dovuto deporre il comando e rientrare in patria senza l'esercito; ciò avrebbe significato restare indifeso alla mercé dei suoi avversari. Cesare allora decise di muovere verso Roma alla testa delle sue legioni. Al passaggio del Rubicone, il fiumicello che segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e l'Italia, confine che nessun generale poteva varcare in armi senza il consenso del Senato, pronunciò la frase rimasta famosa: "Alea iacta est!" (Il dado è tratto). Con queste parole egli voleva significare che la sua decisione era molto grave, ma irrevocabile.
La decisione infatti comportava la ripresa della guerra civile. Da una parte stava Pompeo, sostenuto dal Senato e dall'aristocrazia, dall'altra il conquistatore delle Gallie, forte dell'appoggio popolare e di un agguerrito esercito di veterani entusiasticamente legati alla sua persona.
Dell'ascendente di Cesare sui soldati, Plutarco nelle Vite parallele così ne parla:
"Cesare stimolava un grande spirito di emulazione nei suoi soldati, ricorrendo sia alla elargizione di ricompense e onori [dando prova così che egli non cercava le ricchezze per se stesso nelle guerre, ma che queste gli servivano solo per essere generoso con i suoi fidi], sia gettandosi con coraggio in mezzo ai pericoli, sia affrontando ogni fatica. Se, data la sua sete di gloria, il coraggio poteva essere capito, non così si poteva dire per la resistenza di cui dava prova, tanto più sorprendente in quanto egli era di costituzione gracile, era pallido e soffriva di emicranie e di attacchi di epilessia [per la prima volta, a quanto pare, fu colto da uno di questi attacchi a Cordova ...]. Il suo letto era in genere o un carro o una lettiga [e così anche dormendo le sue imprese non si arrestavano]. Di giorno quando visitava fortezze, città e accampamenti, teneva sempre accanto a sé uno schiavo che scriveva quanto lui dettava nel corso del viaggio, ed era scortato da un legionario armato. Era così veloce nei suoi viaggi che, quando si allontanò da Roma la prima volta, giunse in otto giorni al Rodano. Fin da ragazzo era stato espertissimo cavaliere; tanto bravo che sapeva cavalcare a forte velocità tenendo le mani intrecciate sul dorso.
Era avvezzo anche a dettare lettere, cavalcando, a due segretari contemporaneamente."
Alle popolazioni che assistevano attonite alla sua marcia fulminea verso Roma, timorose di vedere ripetute le terribili vendette che erano state la triste caratteristica della dittatura sillana, egli prometteva moderazione e clemenza.
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