19.3 I consoli
I consoli, in numero di due, esercitavano per un periodo di dodici mesi tutto il potere che era stato dei re, eccezion fatta per il potere religioso, delegato a un apposito magistrato, detto Pontefice Massimo. I consoli erano quindi gli àrbitri assoluti dei tre poteri: militare, amministrativo e giudiziario, e anche gli altri magistrati erano tenuti a prestare loro la massima obbedienza. Come simbolo della loro autorità i consoli, quando si presentavano in pubblico, erano sempre preceduti da dodici littori che portavano i fasci, insegna onorifica già in uso presso i re etruschi.
In caso di guerra, uno dei consoli lasciava Roma ponendosi alla testa dell'esercito: in quella circostanza portava un manto rosso come insegna di comando (il paludamentum) e prendeva il titolo di consul armatus (console in armi). L'altro console rimaneva in città per il disbrigo degli affari civili e, poiché continuava a indossare la toga pretesta listata di porpora che vestivano tutti i magistrati, si chiamava consul togatus (console togato). Se la situazione era molto grave, entrambi i consoli partecipavano alla guerra, alternandosi nel comando.
L'esercito giurava obbedienza al consul armatus, il quale, appena fuori della città di Roma, assumeva il cosiddetto imperium (impero), ossia la facoltà di comando assoluto, col diritto di vita e di morte sui suoi soldati. In tale circostanza i dodici littori che lo accompagnavano, per indicare che il console esercitava l'imperium, legavano, tra le verghe del fascio, una scure.
Come tutte le grandi magistrature romane, il consolato era una carica assolutamente gratuita. I consoli iniziavano il loro ufficio il primo gennaio e allo scadere del termine non erano rieleggibili all'alta carica se non dopo trascorsi cinque anni. Il cittadino romano che era stato console diventava vir consularis (uomo consolare), titolo che dava onore alla sua persona e a quella dei suoi discendenti.
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