38.8 Leone I arresta la marcia di Attila
Accampato sulle rive del Mincio, ogni giorno Attila si riprometteva di prendere la fatidica decisione: "A Roma". Invece le settimane passavano: s'era ormai in estate e quell'anno - il 452 - la temperatura era particolarmente torrida. Gli Unni, abituati ai gelidi climi delle pianure nordiche, s'erano spogliati dei tradizionali mantelli di pelliccia e giravano in cerca di ombra e di acqua fresca. Attila radunò i luogotenenti e tenne consiglio: "Roma" disse "o la prendiamo adesso o mai più. Il caldo e le malattie diradano le file. Fra qualche mese la nostra superiorità apparterrà ai ricordi del passato".
Quasi tutti gli ufficiali assentirono. Soltanto uno, Scotta, rimase immobile, come assorto in gravi pensieri. Attila lo chiamò: "Parla, Scotta, rivela i tuoi tormenti..."
Alla fine il fedele luogotenente vuotò il sacco. A lui Roma non era mai garbata. Gli dei pagani, prima, e il Dio cristiano, adesso, la proteggevano. Era ancora fresco il ricordo di Alarico, re dei Visigoti. Nel 410 era arrivato a Roma baldanzoso e osannante; ma subito dopo se n'era andato all'altro mondo, in quattro e quattr'otto. Neanche il tempo di godersi in pace il bottino. E allora? "Allora" concludeva con foga Scotta "attaccare Roma significa suscitare la collera di una forza superiore."
Attila tacque come sopraffatto da un'improvvisa emozione. D'altra parte l'ambizione lo mordeva. Aveva Roma a portata di mano e doveva assoggettarsi a una vergognosa ritirata? Egli pensava anche alla precarietà del suo esercito, tormentato dalle malattie e dai bollori dell'estate padana, nonché al pericolo di essere preso alle spalle dall'esercito di Ezio. Quando Attila si era impadronito di Aquileia, Ezio, che sapeva di non aver truppe scelte e neppure sufficienti, aveva deciso di temporeggiare, ben conoscendo i guai di Attila. "In pieno agosto" Ezio pensava "quando il caldo avrà logorato le forze di Attila, anche le mie poche truppe basteranno per insegnargli la creanza e per inseguirlo fin oltre le Alpi". Il piano era accorto. Ma la sua prudenza venne scambiata per vigliaccheria dall'imperatore Valentiniano, che aveva ritenuto opportuno rifugiarsi a Roma. Nell'Urbe si sfogò col Pontefice. Papa Leone, fin da quando le truppe di Attila avevano iniziato la loro scorribanda nella pianura padana, era stato con le orecchie tese. Neppure a lui piacevano le mattane degli Unni.
E in tutte le chiese d'Italia aveva ordinato preghiere per implorare l'aiuto celeste contro il "flagello di Dio". Quando Valentiniano, bianco come un cero, gli confidò: "Siamo perduti, non abbiamo mezzi per resistere. Non mi fido di nessuno; anche Ezio tergiversa e forse mi tradisce", al Papa non rimase che rispondere:
"Andrò io di persona. Forse il diavolo è meno brutto di come lo dipingono". Una mattina le sentinelle di Attila, dislocate in riva al Mincio, diedero l'allarme. All'orizzonte si intravedeva l'avanzata di un esercito. Attila, all'annuncio, mandò un urlo di gioia: Ezio finalmente s'era deciso ad attaccare e a risolvere tutti i dubbi che da settimane lo angosciavano. Ma un esploratore, inviato in ricognizione oltre il fiume, ritornò di gran carriera: non erano le legioni di Ezio; si trattava di un enorme corteo di gente anziana, coperta di manti luccicanti, guidata da un vecchio con una lunga barba bianca, vestito tutto di bianco o in sella a un cavallo bianco. Invece delle armi portavano stendardi e lunghe aste con in cima una croce. Cantavano inni religiosi. Attila, sbalordito si diresse al galoppo verso il fiume e si inoltrò nell'acqua. Dall'altra parte il vecchio dalla lunga barba si avanzò:
"Come ti chiami?" urlò il condottiero unno con voce irata.
E il vecchio: "Leone".
Tutt'intorno il canto religioso si spense. Attila, in mezzo al Mincio, stette a lungo a fissare l'inerme figura del vecchio. Poi, d'improvviso sferzò il cavallo, raggiunse l'altra riva e andò incontro al Papa che, a sua volta, avanzava verso di lui.
Nessuno ha mai saputo quello che i due personaggi si dissero.
Alla fine del colloquio, mentre i vescovi e i monaci che accompagnavano il Pontefice intonavano un canto di preghiera, Attila raggiunse i suoi ufficiali, ai quali impartì gli ordini di una rapida ritirata. Aveva rinunciato per sempre - forse senza saperlo - al grande sogno della conquista di Roma.
Torna all'indice