23.9 La battaglia di Canne
Gli eserciti avversari arrivarono infine vicinissimi l'uno all'altro nella pianura pugliese di Canne, sulla riva sinistra del fiume Ofanto, proprio nel giorno in cui il comando romano spettava a Varrone. Costui, nonostante il parere contrario del collega, ordinò l'attacco contando sul fatto che il nemico disponeva di forze molto inferiori alle sue (l'esercito romano contava ottantamila uomini), da gran tempo lontane dalle proprie basi e logorate dalla lunga tattica temporeggiatrice di Fabio Massimo.
I Cartaginesi, disposti a mezzaluna davanti alle legioni romane, cominciarono a retrocedere al centro, ma tennero ferme le ali sicché i Romani, che si erano spinti troppo innanzi, restarono chiusi come nelle branche di una tenaglia. La strage fu immensa: i Romani lasciarono sul terreno quarantamila uomini, tra i quali il console Paolo Emilio, ottanta senatori e ventun tribuni militari. Solo pochi superstiti, riuniti alla meglio dal console Varrone, che era scampato alla strage, riuscirono, dopo una marcia piena di insidie per le continue imboscate del nemico, a raggiungere Roma.
Sulla fine di Paolo Emilio, Tito Livio nelle Storie ci ha lasciato questa pagina edificante:
"Gneo Lentulo, tribuno militare, passando a cavallo e scorgendo il console che sedeva pieno di sangue sopra un sasso, gli disse: "O Lucio Emilio, alla cui salvezza gli dei devono pensare, perché sei il solo non responsabile della presente rovina, prendi questo cavallo e lascia che io ti accompagni e ti difenda, in modo che questa rotta non sia resa ancor più funesta e infelice dalla morte di un console!"
"Tu certamente - rispose Lucio Emilio - meriti stima e lode: ma bada che la vana compassione per me non ti faccia perdere il poco tempo che ti resta per sfuggire ai nemici. Va', dunque, e riferisci pubblicamente ai Padri che fortifichino Roma e la forniscano bene di armati prima che arrivi il nemico vincitore. E privatamente dirai a Fabio Massimo che Lucio Emilio, finché fu vivo e anche morendo, ebbe sempre presenti i suoi precetti. E tu sii contento ch'io perda la vita in questa strage: così non morirò come un colpevole o, in quanto console, non dovrò accusare il mio collega, difendendo la mia innocenza con la sua colpa."
Mentre il console parlava le orde nemiche lo sopraffecero ricoprendolo di lance e di dardi, sebbene ignorassero ch'egli fosse il console."
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