35.6 Le gare nel circo
Sempre crescente era la fortuna del circo. Cartelli murali come quelli che oggi annunziano i film allora annunziavano gli spettacoli atletici. Essi costituivano l'argomento del giorno come oggi lo è il campionato di calcio; se ne discuteva appassionatamente in famiglia, a scuola, nel Foro, alle terme, in Senato, e perfino il giornale, Acta diurna, ne faceva la presentazione e la recensione. Il giorno delle gare, folle di centocinquanta o duecentomila persone si avviavano al Circo Massimo, come oggi allo stadio, recando fazzoletti coi colori della squadra del cuore. I dignitari avevano palchi a parte con sedili di marmo ornato di bronzo. Gli altri si sistemavano su panche di legno, dopo aver impegnato fin la camicia nelle scommesse ed essersi procurati un panino e un cuscino perché lo spettacolo durava tutta la giornata. L'imperatore aveva addirittura, per sé e per la famiglia, un appartamento con camere da letto per schiacciarvi un pisolino fra una gara e l'altra, e l'immancabile bagno per le abluzioni.
Come oggi, cavalli e fantini appartenevano a scuderie private ciascuna con la propria casacca, di cui le più famose erano le rosse e le verdi. Le corse al galoppo si alternavano con quelle al trotto con due, o tre, o quattro cavalli. Quasi tutti schiavi, i conducenti portavano elmetti di metallo, tenendo in una mano le briglie, nell'altra la frusta, e a tracolla un coltello con cui tagliare i finimenti in caso di caduta. Era un caso frequente perché la corsa era spericolata, come lo è oggi quella del Palio a Siena. Si dovevano percorrere sette circuiti, cioè altrettanti chilometri, attorno all'arena, evitando le mete e prendendo le curve quanto più si poteva. I calessini entravano facilmente in collisione, e bipedi e quadrupedi ruzzolavano giù con stanghe e ruote per essere schiacciati dagli equipaggi che sopraggiungevano. [...]
Ma i numeri più attesi erano le lotte gladiatorie: fra animale e animale, fra animale e uomo, fra uomo e uomo. Il giorno in cui Tito inaugurò il Colosseo, Roma spalancò gli occhi per la meraviglia. Il primo numero fu la presentazione di animali esotici, molti dei quali i Romani non avevano mai visto. Fra elefanti, tigri, leoni, leopardi, pantere, orsi, lupi, coccodrilli, ippopotami, giraffe, linci eccetera ne sfilarono diecimila, e molti erano caricaturalmente addobbati per parodiare personaggi della storia o della leggenda. Poi l'arena fu adattata al combattimento: leoni contro tigri, tigri contro orsi, leopardi contro lupi. Alla fine dello spettacolo, solo la metà di quelle diecimila povere bestie era viva. Poi di nuovo l'arena fu tirata giù e ne riemerse addobbata a plaza de toros. La corrida, già praticata dagli Etruschi, era stata poi importata a Roma da Cesare che l'aveva vista a Creta. Egli aveva un debole per queste feste, ed era stato il primo a offrire ai suoi concittadini un combattimento di leoni. Quello col toro piacque enormemente ai Romani che vi si appassionarono subito e da allora in poi lo reclamarono sempre. I toreri non conoscevano il mestiere ed erano quindi destinati alla morte. Infatti venivano scelti fra gli schiavi e i condannati, come tutti gli altri gladiatori del resto. Molti di essi non combattevano nemmeno. Dovevano rappresentare qualche personaggio della mitologia e subirne per davvero la tragica fine.
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