19.10 La censura
Prerogativa del più alto potere dello Stato, la facoltà censoria passò dal re della monarchia primitiva ai consoli, e dopo il 441 a. C., a uno speciale magistrato chiamato appunto censore e rappresentato da due patrizi, nominati dal popolo in occasione di ogni censimento, che si teneva ad intervalli di quattro, di cinque e più anni; né i censori erano annuali ma restavano in carica fino a lavoro compiuto. Essi erano pertanto i redattori delle liste dei cittadini e della loro classificazione fondamentale, in modo che poi, attingendo alle loro conclusioni, altri magistrati potessero formare la serie dei contribuenti delle imposte, quella degli eleggibili e degli elettori, quella degli atti alle armi secondo il loro rango particolare; in Roma il dichiarante doveva rispondere non solo intorno alla condizione civile e finanziaria sua personale e a quella dei membri della famiglia, ma anche poteva essere interrogato dal magistrato intorno al suo modo di vivere, ai suoi costumi, ai particolari molteplici della sua vita privata, in modo da determinare nel censore un'opinione sicura circa il grado di dignità personale che l'individuo aveva portato o poteva portare anche alla vita pubblica: negligenze ed abusi, viltà di fronte al nemico, usurpazione di poteri e condotta di poco rispetto verso i magistrati, atti o occupazioni infamanti, dissipazione economica e morale, mancanza alla parola data e perfino un matrimonio sconveniente o la cattiva educazione data ai propri figliuoli o la trascuratezza di doveri verso la tomba di famiglia o verso i parenti più poveri e anche il tentativo di suicidio erano o potevano essere altrettante "note" di biasimo con cui il censore contrassegnava il nome del cittadino romano. E tutti sanno quale arma formidabile per la lotta contro la corruzione sia stato un tale potere nelle mani di un Catone il Vecchio, che, al dire di Plutarco, non fu celebrato dal popolo nell'iscrizione che fu posta sotto una sua statua nel tempio della Salute, come generale e come trionfatore, ma solo come censore, per avere coi suoi modi, coi suoi esempi e coi suoi consigli trattenuto dalla rovina la cadente repubblica [...].
Cicerone ricorda a proposito delle funzioni censorie questo episodio che mostra come esse non fossero da prendere alla leggera: il censore interrogava con solenne giuramento i suoi censiti intorno alle loro mogli e la formula d'interrogazione era questa: "dimmi se secondo il tuo parere hai moglie" [ut tu ex animi tui sententia uxorem habes].
L'interrogato a giurare era un pedante sfacciato e burlone, e credendo che gli si presentasse l'occasione di dire una spiritosaggine, quando il censore, conforme la consuetudine, gli aveva domandato se secondo il suo parere avesse moglie, "l'ho" rispose "la moglie, ma veramente non secondo il mio parere" [habeo equidem uxorem, sed non ex animi mei sententia]. E così per questa risposta fu messo dal censore fuori dalla categoria in cui era.
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Edili curuli:
erano così chiamati perché nell'esercizio delle loro funzioni occupavano la sella curulis, cioè una sedia speciale intarsiata d'avorio.
Erario:
era il tesoro dello Stato (con la parola "fisco" si indicava invece la cassa privata dell'Imperatore). Esso era custodito nel tempio di Saturno, presso il Campidoglio, insieme con l'archivio di Stato e con le insegne delle legioni.
Toga pretesta:
mentre la toga che ogni cittadino romano libero indossava normalmente era tutta bianca, la toga "pretesta" presentava, intessuta lungo il bordo, una larga balza rossa. La toga pretesta, secondo una tradizione etrusca, era l'insegna del supremo potere: dapprima distintivo della dignità regia, venne poi indossata dai consoli e dai più alti magistrati della repubblica. Essa era anche l'abito dei fanciulli, che la portavano fino a 17 anni, quando, con una solenne cerimonia, la sostituivano con la bianca toga virile, per significare che entravano nella maggiore età e acquistavano i diritti civili.