33.4 Diocleziano
Nel 284, dopo un altro periodo di torbidi, salì al trono Diocleziano, un rude soldato di origine illirica che fu il più grande imperatore di quell'età (284-305). Egli non si preoccupò soltanto di combattere i barbari, ma volle porre rimedio ai mali che rodevano l'impero dall'interno: abbandono dei campi, ristagno della produzione, rincaro dei prezzi, spopolamento. Decise perciò di applicare un calmiere ai prezzi delle merci di più largo consumo e di imporre a tutti l'obbligo di continuare la professione dei padri. L'artigiano, il marinaio, l'operaio, il mercante, il contadino finirono così per trovarsi legati per sempre agli strumenti del loro lavoro.
Ma le piaghe erano troppo profonde per poter essere curate con tali semplici rimedi esterni: dopo una breve battuta di arresto, il processo di disfacimento del mondo romano riprese inesorabilmente. Né migliore fortuna ebbero i provvedimenti che Diocleziano adottò per far rifiorire la religione degli avi e per combattere i Cristiani, che egli, come molti imperatori prima di lui, riteneva elementi disgregatori della compagine imperiale; la grande persecuzione che egli ordinò nel 303 disseminò di lutti intere regioni, fece reagire perfino l'opinione pubblica per le sue disumane atrocità, ma si mostrò impotente ad arrestare il trionfale progresso della nuova fede.
Eusebio di Cesarea così ne ricorda gli inizi:
"Correva l'anno diciannovesimo del regno di Diocleziano, allorché nel mese di marzo, all'approssimarsi della festa della Passione del Salvatore, fu affisso dappertutto un editto imperiale che ordinava di abbattere le chiese, di bruciare la Scritture e dichiarava decaduti dalle loro cariche i funzionari cristiani e privati del diritto di affrancazione i cristiani schiavi di privati che continuassero a proclamarsi cristiani. Tale fu il tenore del primo editto [...]; poco dopo ne seguirono altri che ordinarono in un primo tempo di mettere in prigione tutti i capi delle chiese, poi di costringerli con ogni mezzo a sacrificare [agli dei]."
Diocleziano inoltre completò la trasformazione dell'impero in una monarchia assoluta; tolse al Senato i superstiti compiti politici, riducendolo alla funzione di una specie di consiglio comunale dell'Urbe; adottò i cerimoniali, i simboli del potere e il titolo di maestà, che erano le prerogative dei sovrani orientali, e si fece adorare come un dio.
L'imperatore non fu più, come ai tempi di Augusto, il princeps, ossia il primo cittadino, ma divenne il dòminus, il padrone della vita e degli averi dei sudditi.
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