35.4 Il diritto
I Romani erano portati più ai problemi pratici, che alle meditazioni astratte. Essi rivelarono particolare acume nella scienza del diritto, cioè nella scienza che stabilisce i principi e i metodi che devono regolare secondo giustizia i rapporti tra gli uomini. Dalle leggi delle dodici tavole in poi, i grandi giureconsulti di Roma lavorarono a coordinare la legislazione romana, offrendo così all'impero uno degli strumenti più validi e benefici per reggere i popoli. I massimi esponenti di questa scienza si ebbero nell'età imperiale con Papiniano, Paolo Giulio, Ulpiano e Modestino.
Ulpiano nel primo libro delle Istituzioni, dà questa definizione del diritto e dei giuristi:
Ius [diritto] è detto così da justitia [giustizia] infatti secondo l'elegante definizione di Celso, il diritto è l'arte del buono e dell'equo. Perciò a ragione si possono definire i giuristi "sacerdoti della giustizia" dal momento che venerano la giustizia e professano la scienza del buono e dell'equo distinguendo [...] e discernendo quanto è lecito da quanto è illecito desiderando rendere giusti gli uomini non solo con il timore delle pene ma anche con lo stimolo dei premi aspirando a praticare [...] un vero e non simulato amore per la sapienza.
Dopo il tramonto dell'Urbe la scienza giuridica romana, filtrata come un fioco raggio nelle barbariche tenebre dell'alto Medioevo, riprese vigore agli inizi dell'età moderna e ancor oggi sopravvive in talune sue parti nella legislazione dei popoli civili.
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