8.6 La religione
La Grecia, frazionata nelle forme politiche, ebbe nella religione il suo elemento unificatore. Fu infatti la comunanza delle credenze religiose che mantenne viva nelle varie stirpi la coscienza della comune origine. I Greci furono politeisti, ma, a differenza di molti altri popoli dell'antichità, non videro nei loro dei soltanto il simbolo di fenomeni naturali, ma anche la personificazione delle doti, delle passioni e degli ideali umani. Pur concedendo loro l'attributo dell'immortalità immaginarono le loro divinità simili all'uomo nell'aspetto, nel modo di comportarsi e perfino nei difetti (antropomorfismo), e favoleggiarono che spesso esse lasciassero le aeree sedi dell'Olimpo per partecipare, in modo visibile o sotto finte sembianze, alle vicende dei mortali. Così, se nei poemi di Omero o nella Teogonia di Esiodo di poco posteriore, troviamo frequenti esaltazioni della giustizia e delle virtù degli dei abitatori dell'Olimpo, ci imbattiamo pure in episodi di aspra rivalità e inimicizia tra dei che non sono da meno delle più biasimevoli intemperanze umane.
Eccone un esempio nei seguenti versi dell'Iliade:
Apollo, difensore dei Troiani, venuto in conflitto con lo zio Nettuno, che parteggia per i Greci, decide di sospendere la lite per deferenza verso lo zio. La soluzione però non garba alla sorella, l'aspra Diana "di belve agitatrice" che con acri motti il rampognò: — Tu fuggi, / tu che lungi saetti? e tutta cedi, / senza contrasto, al re Nettun la palma? / Vile! a che dunque nelle man quell'arco? / ch'io non t'oda più mai nella paterna / reggia tra numi, come pria, vantarti / di combattere solo il re Nettuno. / Non le rispose Apollo; ma sdegnosa / si rivolse alla Dea, di strali amante, / la veneranda Giuno, e sì la punse / con acerbo cipiglio: — E come ardisci / starmi a fronte, o proterva? Di possanza / mal tu puoi meco gareggiar, quantunque / d'arco armata. Gli è ver che fra le donne / ti fé Giove un lione, e qual ti piaccia / ti concesse ferir; ma per le selve / meglio ti fia dar morte a capri e cervi, / che pugnar co' più forti. E se provarti / vuoi pur, ti prova, e al paragone impara / quanto io sono da più. — Ciò detto, al polso / colla manca le afferra ambe le mani, / colla dritta dagli òmeri le strappa / gli aurei strali, e, ridendo, su l'orecchia / li sbatte alla rival, che d'ogni parte / si divincola; e sparse al suol ne vanno / le aligere saette. Alfin di sotto / le si tolse, è fuggì come colomba / che, da grifano augel per venturoso / fato scampata, ad appiattirsi vola / nel cavo d'una rupe. Ella, piangendo, / così fuggia, lasciate ivi le frecce.
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