28.5 Formazione del primo triumvirato
L'energia di Cicerone, cui il Senato in segno di riconoscenza aveva decretato il titolo di "padre della patria", fece rinascere una certa fiducia nelle istituzioni repubblicane. Perciò, quando Pompeo rientrò in patria imbaldanzito per le imprese d'Oriente, trovò il Senato poco disposto a cedere alle sue richieste. Risentito, egli pensò allora di appoggiarsi agli uomini in quel momento più influenti in Roma, cioè Caio Giulio Cesare e Licinio Crasso, per costituire con essi un patto di amicizia che permettesse loro di fronteggiare, uniti, la potenza del Senato.
I tre personaggi erano ugualmente desiderosi di primeggiare, ma, pur di avere in mano il governo della repubblica, seppero per il momento soffocare le loro rivalità reciproche.
Crasso, già seguace di Silla, si rendeva conto che i pallidi allori della guerra servile non gli permettevano di competere con gli altri due nella gloria militare: perciò, sebbene aristocratico, si era accostato a Cesare, che militava nel campo democratico, convinto di poter controbilanciare con le sue grandi ricchezze il prestigio di Cesare.
L'accordo privato che i tre conclusero nel 60 a. C. fu detto primo triumvirato. L'anno dopo Cesare, eletto console, fece votare alcune leggi che soddisfecero le richieste di Pompeo, assicurandosi un'incontrastata preminenza sul suo collega nel consolato. Di questa preminenza la seguente pagina di Svetonio dà una vivace pennellata:
"Assunta la carica, fu il primo a stabilire che si tenesse un giornale quotidiano degli atti del Senato e del popolo. Rinnovò l'antico costume per il quale, nel mese in cui non aveva i fasci, un usciere lo doveva precedere e i littori lo dovevano seguire. Quando ebbe promulgata la legge agraria, espulse con le armi dal foro il collega che si opponeva e, il giorno successivo, essendosi questi querelato in Senato, né trovandosi alcuno che in tanta eccitazione osasse prendere la parola o esprimere pareri, o proporre decreti, come si era spesso fatto in occasione di torbidi anche meno gravi, ridusse Bibulo [suo collega nel consolato] a tale disperazione che, fintanto che non uscì di carica si tenne nascosto in casa e non gli si oppose altrimenti che con editti. Da quel momento governò da solo ed a suo arbitrio ogni cosa della repubblica, tanto che alcuni cittadini, quando dovevano firmare come testimoni, per celia invece di scrivere: "Essendo consoli Cesare e Bibulo", scrivevano: "Essendo consoli Giulio e Cesare", ponendo due volte lo stesso console, per nome e per cognome, e il popolo ripeteva questi versi: "Questo non fu fatto sotto il consolato di Bibulo, ma sotto quello di Cesare e Cesare; perché non ricordo che nulla sia avvenuto sotto il consolato di Bibulo". Il campo stellato, consacrato agli dei dai nostri antenati e il territorio campano, destinato ad approvvigionare la repubblica, divise senza ricorrere alla sorte fra ventimila cittadini che avessero tre o più figli. Concesse l'abbuono di un terzo del prezzo dovuto ai pubblicani [...]."
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