14.3 L'urto tra i Macedoni e i Greci
La città attica, attraversava in quegli anni un periodo di effimera ripresa. Molti suoi cittadini di parte democratica, scossi dall'infiammata parola di Demòstene, il più grande oratore dell'antichità, speravano che Atene trovasse la forza, come al tempo dell'invasione persiana, di capeggiare gli Stati ellenici nella difesa della comune indipendenza contro il pericolo macedone. Ma il miracolo non si ripeté perché mancava la concordia degli animi: alcuni Greci, disperando della vittoria, si preoccupavano delle eventuali rappresaglie del nemico; altri restavano passivi, corrotti dall'oro macedone; altri ancora pensavano che la supremazia di Filippo avrebbe placato le sterili discordie tra città e città, senza minacciare seriamente la civiltà della Grecia, di cui il sovrano macedone si professava ammiratore.
In tale situazione Filippo giunse a occupare Elatèa, città della Focide, a poca distanza da Atene. L'imminenza del pericolo indusse parecchie città ad affiancare le loro forze a quelle tebane e ateniesi in un supremo tentativo di difesa, ma a Cheronea (in Beozia) le falangi macedoni schiacciarono l'esercito dei coalizzati (338 a. C.).
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