38.7 Caduta dell'impero d'Occidente
Scampata alla furia degli Unni, Roma non poté evitare una seconda devastazione ad opera di schiere di Vandali che nel 455, salpate dall'Africa al comando del re Genserico, approdarono alla foce del Tevere e, penetrate nella città eterna, la saccheggiarono orrendamente mettendola a ferro e fuoco.
Fra tante temerarie iniziative di barbari, la corte di Ravenna appariva di giorno in giorno più impotente. Dopo l'uccisione di Valentiniano III successore di Onorio, Ricimero prima e Oreste poi, generali barbarici a servizio dell'impero, divennero gli arbitri assoluti del governo, finché Oreste, deposto il legittimo imperatore Giulio Nepote, pose la corona sul capo del proprio figlio Romolo, un fanciullo di dodici anni. Ma i mercenari Eruli, delusi nella loro richiesta di un terzo delle terre si ribellarono e, guidati dal loro capo Odoacre, uccisero Oreste e detronizzarono il giovane imperatore, detto per dileggio Augustolo. Odoacre, rimasto padrone dell'Italia, ne assunse il governo col titolo di patrizio, dichiarando che l'imperatore di Costantinopoli bastava da solo con la sua presenza e autorità a rappresentare la continuità e l'unità dell'impero.
Così, per l'iniziativa di un barbaro, senza un segno di reazione o un residuo di grandezza, nell'anno 476 l'impero romano d'Occidente cessava di esistere.
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